don Falabretti sul prossimo Sinodo dei giovani

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Intervista a don Michele Falabretti, sacerdote nativo di Borgo S. Caterina, direttore del Servizio nazionale di pastorale giovanile sulle parole del Papa e del testo base che avviano il percorso verso il Sinodo 2018. «È una questione educativa»

 

Lettera di Papa Francesco ai giovani

Documento Preparatorio della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi

 

La Chiesa ha bisogno della voce dei giovani!

Francesco Ognibene (Avvenire, 14.01.2017)

Ascolto, educazione, disponibilità a ridiscutere convinzioni e metodi. Nel Sinodo sui giovani, e nel viaggio che da venerdì 13 gennaio la Chiesa ha intrapreso con il testo-base e la lettera del Papa, don Michele Falabretti vede questo e molto altro. Da responsabile del Servizio nazionale di Pastorale giovanile è abituato allo sguardo “lungo”. Che prova a spingere sino all’assemblea in Vaticano, autunno 2018.

Che cosa ci dicono i due testi diffusi ieri?
Esprimono l’impegno e la voglia di coinvolgere i giovani in un percorso nel quale non sono destinatari di un lavoro svolto da altri su di loro ma vengono chiamati a diventare protagonisti, soggetti attivi, centro di una grande questione pastorale che è nelle mani di tutta la comunità cristiana, a ogni livello. Anche solo questo fa capire di fronte a quale opportunità ci troviamo. I giovani non sono oggetti di un’analisi scientifica, quasi si trattasse di una specie in via di estinzione: sulle nuove generazioni è chiamata in causa tutta la Chiesa.

Le Gmg sono il segno che la Chiesa si è messa sempre più in gioco su questo aspetto. Dov’è la novità del Sinodo?
I giovani vanno ascoltati, la Chiesa ha bisogno della loro voce. Lo spazio per loro è andato ampliandosi con un’accelerazione che fa comprendere come non li si può pensare destinatari di un messaggio che funziona da solo. La vera, grande novità è però nella scelta stessa del tema tra i tanti possibili per l’assemblea.

Perché il Papa ha voluto mettere al centro del Sinodo proprio i giovani?
Forse perché parlando di giovani si mettono in questione anche gli adulti e la Chiesa. Da sempre i cristiani cercano di consegnare a chi viene dopo di loro quanto hanno di più caro: la fede, il Vangelo, il segreto di una vita cui l’incontro vivo con il Signore dà senso pieno. Ma oggi la maggior parte dei giovani non ha una vera occasione per questa consegna. Il Sinodo ci chiede di considerare gli aspetti complessi di questo passaggio generazionale. Dunque, si parla di giovani ma anche di adulti.

Che cosa può rappresentare questo Sinodo per la Chiesa?
Una bellissima occasione per chiederci cosa stiamo facendo per trasmettere la fede e metterci in ascolto di tutti i giovani, vicini o lontani che siano. Attenzione, però: non pensiamo a qualcuno che ci dirà “cosa fare” ma a un processo che ci mette in discussione su alcuni temi decisivi, come la relazione educativa.
Una novità è nel metodo: il questionario che aveva segnato i due Sinodi sulla famiglia viene riproposto con una formula più diretta.

Che lavoro suggeriscono queste domande?
Lo dico con una battuta: se si trattasse solo di rispondere ce la caveremmo in una settimana. Dentro quelle domande, invece, ce n’è una più grande: ai cristiani quanto stanno a cuore i loro figli? Ho l’impressione che ci siamo un po’ stancati della “questione educativa”, ma non possiamo tornare ad accorgersi della sua importanza solo quando accade il fattaccio di cronaca… L’educazione è cura, compagnia, ascolto, condivisione, ha a che fa- re più con la bellezza che con il dramma.

Quindi un Sinodo sui giovani ma anche sulla “questione educativa”?
Il nostro è un tempo nel quale si fatica a essere adulti: ora c’è l’ossessione di restare giovani, perdendo di vista che si tratta di una fase della vita e non di una condizione ideale. Nel ’68 gli adulti volevano imporsi in quanto tali, oggi cercano di sembrare eternamente giovani. La strada è antitetica, il risultato identico: l’incomprensione del mondo giovanile.

Quale percorso immagina da oggi al 2018?
Vedo anzitutto un confronto ecclesiale a ogni livello, sino alla parrocchia più “periferica”, su come la Chiesa annuncia il Vangelo, e su quali sono le condizioni per arrivare a destinazione. C’è poi l’ascolto sincero e attento dei giovani là dove si trovano, non solo nei “nostri ambienti”: vanno costruite occasioni che consentano di interpellarli sulla loro vita, ad esempio nel mondo digitale. Dovremmo chiedergli in cosa sperano, quel che li fa piangere, di cosa hanno paura, cosa cercano. Da qui parte ogni possibile incontro con il senso dell’esistenza. Per troppo tempo abbiamo pensato che per convincerli bastasse enunciare i valori, magari con tutte le lettere maiuscole. Oggi quella che per noi è una verità evidente non si impone da sé ma solo se è persuasiva, e per esserlo va accompagnata da domande e gesti.

Il Sinodo invita a parlare di “vocazione”: in quale senso?
Noi cristiani pensiamo che si diventa grandi anche ascoltando un’altra voce, mentre molti giovani sono convinti di poter essere felici solo ascoltando se stessi. La sfida è far incrociare questa fame di libertà con la consapevolezza che non ci si realizza da soli ma nella relazione. Con gli altri, e con Dio.

 

 

(Bergamo News, 06.10.2016)

“Il Sinodo dei giovani voluto dal Papa per il 2018 su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” è una grande opportunità che ci dobbiamo giocare bene, non solo per aprire un confronto franco tra chi con loro lavora tutti i giorni, e penso alle pastorali giovanili diocesane, ma anche perché porterà noi adulti a interrogarci sulla nostra fede”. Per don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale di pastorale giovanile della Cei, la “sorpresa” annunciata oggi da papa Francesco si potrebbe tramutare dunque in concreta e preziosa occasione per “aprire gli occhi” su un mondo, quello dei nostri figli, che non può essere solo osservato dall’alto. “Mi auguro che la Chiesa e gli adulti non li guardino in questi due anni che ci separano dall’evento da lontano, come se registrassero i loro movimenti attraverso una telecamera montata su un drone, ma che li accompagnino nel cammino. Oggi i nostri ragazzi hanno bisogno di testimoni e di padri, di qualcuno che gli faccia vedere il lato promettente della vita”. “Se penso ai miei nonni o ai miei genitori – riprende il direttore Cei – posso dire che hanno vissuto tanti periodi critici che corrispondevano a quelli che stava attraversando il Paese, ma si sentivano anche “costruttori” del loro futuro. Oggi invece in un momento di diffusa crisi e fragilità del mondo adulto, bisogna dare atto ai giovani che nonostante la precarietà negli affetti, sul lavoro e riguardo al futuro, non si sono persi d’animo e hanno cercato di inventarsi nuove strade. A Cracovia, durante la Gmg, la Polizia faceva entrare nelle stazioni solo dagli ingressi principali, ma i ragazzi pur di non perdere i treni riuscivano a sgattaiolare e a passare da varchi secondari. Presidiarli dunque non serve perchè trovano sempre la loro strada. E l’indizione di un Sinodo è il segno della cura che il Papa ci chiede di riservare loro nel lavoro quotidiano di accompagnamento”.