Fatti storici e di devozione al Santuario

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La statua del profeta Geremia

All’entrata del Santuario, sul lato sinistro, proprio di fronte alla statua di Isaia, troviamo l’altro grande profeta, Geremia, scultura in stucco bianco dello stesso autore, Antonio Rota. La statua, come del resto le altre undici presenti nella chiesa, è piuttosto convenzionale e non facilmente distinguibile dalle rimanenti, nonché da molte simili presenti in varie chiese della nostra città, ma il suo significato è assai chiaro: i due profeti maggiori sono l’inizio ideale di un cammino che percorre l’intera storia della salvezza culminata in Gesù.

La vita del profeta ci è sufficientemente nota dalle sue stesse opere (il libro, appunto, di Geremia, contenuto nell’Antico Testamento): nato intorno al 650 a.C., è giovanissimo quando, nel tredicesimo anno del regno di Giosia (626),  riceve da Dio la chiamata a essere profeta. Da quel momento rinuncia alla sua vita privata e, per ordine del Signore, anche al matrimonio, e si mette a completa disposizione del saggio re Giosia, impegnato nella lotta all’idolatria e nella difesa dei diritti di Jahvé, spesso offeso e abbandonato dal suo popolo.  Alla morte del re, Geremia ne prende il posto come difensore di Dio, richiamando i suoi connazionali alla fedeltà all’alleanza e predicendo con insistenza la venuta di un nemico dal Nord (che si concretizzerà poi nel babilonese Nabucodonosor), la caduta e la distruzione della città, la rovina del Tempio e poi l’esilio.

Ma il popolo non lo ascolta: in questo momento il regno di Giuda gode di una relativa tranquillità, dovuta più che altro al momentaneo disinteresse dei suoi potenti vicini, cosicché gli ammonimenti del profeta gli attirano l’odio generale, persecuzioni, minacce di morte e prigionia. Particolarmente ostile a Geremia è il re Sedecia, che, perfino quando i babilonesi stanno già assediando la città, considera il profeta un disfattista e lo fa gettare in una cisterna fangosa, perché non abbatta il morale dei soldati impegnati nella difesa.  Gerusalemme cade nel 586, il suo tempio è bruciato, il sovrano è costretto ad assistere all’uccisione dei suoi figli e infine accecato, la popolazione è deportata a Babilonia. Geremia è risparmiato e lasciato vivere tra le rovine della città, dove continua a predicare. Secondo la tradizione, tuttavia, viene catturato dai suoi denigratori e condotto in Egitto, dove morirà, forse lapidato dai suoi connazionali, esasperati dai  continui rimproveri.

Geremia, profeta della bontà e della tenerezza di Dio, richiama alla mente la figura del Messia: non perché ne abbia parlato in modo particolare, ma perché ne ha prefigurato, nella propria vita, i contrasti, le disillusioni, le persecuzioni e la passione. Geremia, mentre piange e deplora l’ingratitudine del suo popolo infedele, parla però anche di una Nuova Alleanza stipulata da Dio con un popolo rinnovato: Io stesso radunerò le mie pecore da tutti i paesi dove le ho disperse, e le farò tornare ai loro pascoli, ove cresceranno e si moltiplicheranno, Susciterò in mezzo a loro dei pastori che le pasceranno… Ecco, stanno per venire giorni, dice il Signore, nei quali io susciterò a Davide un suo discendente giusto, un vero re che regnerà con sapienza, praticherà la giustizia e il diritto sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvo e Israele vivrà nella sicurezza. E questo è il nome con cui sarà chiamato: “Jahvé-nostra-giustizia” (23,3). 

Geremia è considerato santo dalla Chiesa cattolica e ricordato il 1° maggio.  Nel nostro Santuario, in una vela sotto la cupola maggiore, il profeta è raffigurato anche nell’affresco di Giovanni Pezzotta.

   

(Dal bollettino parrocchiale di febbraio 2015)

 

Rubrica sul sito nella sezione Borgo > Storia e curiosità

a cura della professoressa Loretta Maffioletti