Fatti storici e di devozione al Santuario

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Foto: Angelo con le braccia aperte, di Giovanni Pezzotta.

I due angeli e le due statue nell’altare della Madonna di Loreto

A completamento delle opere presenti nell’altare della Madonna di Loreto, nel transetto sinistro del Santuario, ricordiamo in primo luogo altri due affreschi di Giovanni Pezzotta (1838-1911), autore anche di altre opere posizionate nel medesimo luogo, cioè Il ritrovamento di Gesù nel tempio e Il velo di Veronica. Si tratta di due angeli, l’uno con le braccia aperte e l’altro con le mani giunte, assai simili, nella raffigurazione, a quelli presenti nel Velo di Veronica, al quale fanno da contorno.

Alla destra e alla sinistra dell’altare, poi, troviamo due delle dodici statue in stucco bianco che, racchiuse ognuna nella propria nicchia, ornano il Santuario. Queste statue, opera di Antonio Rota, scultore operante a Genova ma di origini bergamasche, composte tra la fine dell’ Ottocento e l’inizio del Novecento, sono in stile classicheggiante e rappresentano personaggi della Bibbia e della Tradizione: lungo le pareti si trovano i profeti Isaia e Geremia; i teologi medievali e dottori della Chiesa san Bernardo e san Bonaventura; i genitori di Maria, Anna e Gioachino; san Giuseppe e san Giovanni Battista; gli evangelisti Matteo e Giovanni.

Le due statue collocate all’interno del nostro altare sono femminili e presentano alla base dei nomi probabilmente non a tutti familiari: MATER MACAB (eorum) e SUNAMITIS.

Sono entrambe figure dell’ Antico Testamento: la prima è la madre dei fratelli Maccabei, ricordata dal secondo degli omonimi libri della Bibbia (Maccabei 2,7): questi fratelli, sette, subirono il martirio, probabilmente nel 168 a. C., da re Antioco Epifane di Siria, il quale intendeva ellenizzare la Giudea, terra da lui governata, e pertanto sradicare ogni culto religioso ebraico. La loro madre subì il martirio con loro, anzi, fu costretta ad assistere ai crudeli patimenti dei figli, per poi essere messa a morte per ultima.

L’altra figura è la sposa, la bella fra le donne, del meraviglioso Cantico dei Cantici, poemetto lirico che parla dell’amore tra due giovani, la sposa, appunto, e lo sposo. In un passo dell’opera (7,1) la sposa è chiamata Sulamite, che significa pacifica, e può essere considerato il femminile di Salomone, il pacifico. Sunamite, nome attestato varie volte nelle diverse edizioni dell’operetta, è probabilmente una corruzione, dovuta alla presenza, in altri passi della Bibbia, di tale nome, che significa donna della città di Sunam (nel secondo libro dei Re è citato a proposito di una fanciulla che assistette re David ormai molto anziano).

L’Antico Testamento qui prefigura il Nuovo: la madre dei Maccabei, che vede morire i propri figli, avendo però piena consapevolezza della loro fedeltà al Signore, è figura di Maria, che vede morire Gesù nell’obbedienza al Padre; la fanciulla del Cantico dei Cantici è ancora Maria, considerata la sposa dello Spirito Santo.

 

(Dal bollettino parrocchiale di dicembre 2014)

 

Rubrica sul sito nella sezione Borgo > Storia e curiosità

a cura della professoressa Loretta Maffioletti